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venerdì 8 agosto 2008

La pirateria? Un nuovo modello di business

L'editore di Anime Kadokawa Holdings ha deciso di non protestare con YouTube per le copie non autorizzate del suo ultimo dvd, scommettendo sul valore promozionale della distribuzione virale.

Esistono 3 partiti nella faccenda della pirateria digitale: c'è chi la ostacola e urla al sacrilegio, chi la tollera e prova ad andarci d'accordo e chi la ama. Nel marasma di quest'ultimo gruppo non ci sono solo gli utenti che grazie ai programmi di file-sharing scaricano fiumi di materiale protetto da diritto d'autore, o che irrorano YouTube di contenuti. Ora cominciano a esserci anche alcuni produttori, autori, editori. E' il caso dell'editore di Anime giapponesi Kadokawa Holdings, che invece di arrendersi alla cosiddetta pirateria ha deciso di provare a cavalcarla. Uno dei metodi è quello di non ostacolare, anzi di favorire la diffusione su YouTube di brani dal suo ultimo Anime: La malinconia di Haruhi Suzumiya, appena uscito in dvd.

Il presidente della compagnia, Tsuguhiko Kadokawa, ha intrapreso una strada sperimentale e peraltro anche abbastanza costosa. L'idea di fondo è che ogni fan sia potenzialmente un pirata poiché quasi tutti amano condividere materiale, confrontarlo, cercarlo, goderlo a spezzoni, poi magari comprarlo. Questa è la realtà con cui fare i conti e Kadokawa i conti li ha fatti: niente aule di tribunale in cui trascinare YouTube e niente più soldi per la pubblicità tradizionale - nell'era del digitale è ridicola, ha commentato al Business Week - bensì 1 milione di dollari per un'operazione tutta nuova. Una squadra dei suoi lavoratori è incaricata di portare avanti un lavoro mastodontico e coraggioso: scovare, controllare, vedere e rivedere tutti i video che contengono spezzoni di Anime che circolano online. Capire se c'è qualcosa che non va (inquinamento dei contenuti per esempio) ed eventualmente chiederne la rimozione. Infine, contattare gli utenti che li hanno inseriti - uno ad uno - chiedeno loro il permesso di aggiungere il marchio aziendale e un incoraggiamento a visitare il sito ufficiale.

Siamo di fronte a una sorta di marketing virale. Quale migliore pubblicità, almeno per chi usa stare in rete, di quella che crea mode, intesse scenari quasi assillanti, si ripete attraverso i milioni di internauti che commentano, scherzano, che insomma si appropriano del materiale facendolo diventare quotidiano e quindi irrinunciabile? La stessa Kadokawa Holdings anni fa cercava fra i ragazzi che realizzano graffiti nelle metropolitane - molti proprio ispirati agli Anime - i propri artisti da assoldare. La loro attività era illegale, e loro li hanno assunti. Questo di certo non significa che la soluzione di Tsuguhiko Kadokawa possa portare denaro alle sue casse. Tuttuavia è un esperimento coraggioso che almeno un risultato lo avrà: quello di non far arrabbiare i fan, ovvero i clienti. Cosa che ha capito anche la pop-star Duffy che ha recentemente dichiarato di amare la condivisione dei contenuti, sostenendo che chi scarica oggi probabilmente acquisterà domani.

A suggellare queste teorie ci sono altri esempi di successo. Spesso manga e Anime hanno raggiunto l'occidente grazie alla circolazione "illegale". Lo studio di animazione Gdh è stato cercato da produttori statunitensi che volevano acquistare i diritti sui loro materiali proprio dopo averne annusato il successo su siti di videosharing. Ma, ancora a conferma, interviene uno studio inglese, che ha come protagonista l'album dei Radiohead, "In Rainbows".

Quasi un anno fa, questo album è stato distribuito online a offerta libera prima che nei negozi in forma di cd o dvd. Ma il risultato è che sono stati molto più numerosi i download su programmi illegali che sul sito ufficiale, pur essendo ambedue gratuiti. Oltre a essere chiaro quanto sia radicato un certo uso della rete, bisogna notare che i Radiohead hanno comunque avuto un successo notevole, riempiendo le date dei concerti (circa 400 mila dollari a botta il loro incasso) e vendendo benissimo il proprio album in tutti i negozi del mondo.
La conclusione della ricerca, dunque, è che il mondo della musica dovrebbe abbracciare i siti di file sharing illegali, perché combatterli sarebbe una battaglia persa. Per usare le parole rilasciate al Financial Times da Eric Garland, che ha diretto lo studio: "E' ora di smettere di nuotare contro la corrente di ciò che vuole la gente".